Il racket ostacola la crescita dell'imprenditoria onesta

1 Il racket ostacola la crescita dell'imprenditoria onesta

Trani (BT), 24 Novembre 2012 – L’Associazione Culturale “Gens Nova” ha organizzato il convegno dal tema: “IL RACKET OSTACOLA LA CRESCITA DELL’IMPRENDITORIA ONESTA”.
Ha introdotto e moderato la Dott.ssa Maria Teresa Misino, Consigliere Nazionale Associazione Culturale Gens Nova.
Relatori: Prof. Avv. Antonio Maria La Scala, Penalista del Foro di Bari, Docente di Diritto Penale presso l’Università L.U.M. “Jean Monnet” nonché Presidente Nazionale dell’Associazione Gens Nova; Dott. Tano Grasso, Presidente Onorario FAI (Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiane).
Nell’affrontare la tematica è emerso che la battaglia contro l'illegalità non si vince soltanto sul piano della giustizia penale, ma dando senso alla presenza dello Stato. Il rispetto delle leggi dipende da ciascuno di noi. Spesso però aggiriamo le norme ed indulgiamo in comportamenti che, ripetuti quotidianamente, impediscono di dare speranza al nostro Paese.
Occorre quindi sensibilizzare i cittadini nell’impegno e nella lotta costanti contro il racket dell’usura e l’estorsione, fenomeni dilaganti di fronte all’aggravarsi della generale crisi economica che attanaglia l’Italia.
È, dunque, importante scendere nelle piazze e nelle aree commerciali più importanti di tutto il territorio nazionale con accanto i rappresentanti delle Forze dell’Ordine e delle Istituzioni, per rappresentare un’esperienza dal valore simbolico fondamentale nell’ottica del coinvolgimento della società imprenditoriale e civile.
Tale progetto, patrocinato dal Ministero dell’Interno, rientra nel PON Sicurezza denominato “Consumo Critico” e coinvolge oltre la Puglia anche le regioni Campania, Sicilia e Calabria. Scopo principale è la consegna di certificazioni che attestino la qualità delle attività di commercianti e imprenditori che dichiarano di non pagare il pizzo mantenendo una posizione netta a favore della legalità e contro ogni forma di favoreggiamento al racket.
Chi riveste un ruolo nella collettività deve essere onesto, competente ed avere a cuore il bene pubblico, perseguendo un codice etico. I giovani devono agire nel rispetto della legge, non offendere la dignità altrui, alimentare la democrazia e la partecipazione, essere generosi con chi ha bisogno, aprirsi al confronto e al dialogo con tutti, coltivare la conoscenza per allontanare la paura dell'altro al solo fine di essere realmente costruttori di una società migliore.
E’ vero che i cittadini sono scoraggiati e non partecipano alla vita pubblica, ma tuttavia dipende proprio da ognuno di noi aver cura del nostro Paese, rispettare la legge e stigmatizzare certi comportamenti individuali: non chiedere la ricevuta; parcheggiare in doppia fila; dare al delinquente una somma di denaro per farci restituire l’auto rubata; chiedere la cd. “raccomandazione” per un esame universitario o per un pubblico concorso; non versare i contributi ed evadere le tasse; vendere alcolici ai minorenni, eccetera.
Occorre inoltre recidere le fonti di arricchimento illecito e controllare la proliferazione di minicase da gioco, centri scommesse, slot machines, agenzie finanziarie, negozi di compro-oro, tutte attività inspiegabilmente autorizzate dallo Stato.
In cima alle preoccupazioni c’è anche la 'giustizia quotidiana': l’aumento generale di specifiche tipologie di reato, che avvengono ormai da tempo anche in zone centrali della città, oltre a provocare danni alla collettività, denotano mancanza di certezza della pena e pesanti difficoltà nell’attività di controllo del territorio da parte delle Forze dell’Ordine.
Il racket o "pizzo", è un'attività criminale generalmente volta a ottenere da un operatore economico il pagamento periodico di una certa somma di denaro in cambio dell'offerta di "protezione" da una serie di intimidazioni che, in realtà, è lo stesso proponente a mettere in atto.
Questa forma di estorsione è un fenomeno assai diffuso, generalmente sommerso e per molto tempo sottovalutato.
Tanto da essere considerato un fatto quasi normale, un affare "privato" delle vittime oppure un'attività secondaria della criminalità organizzata, in particolare mafiosa. In realtà, "il pizzo" è la più antica attività della mafia. Spesso rappresenta la base della sua attività criminale: un sicuro strumento economico per mantenere l'organizzazione e per acquisire capitali da reinvestire in altre attività criminali o nell'economia legale; il modo più efficace per esercitare il controllo sul territorio.
Il racket si concentra nel Sud, dove la criminalità mafiosa e camorristica condiziona storicamente la vita e la sicurezza di molti cittadini e ne limita la libertà d'impresa e di sviluppo. Tuttavia negli ultimi tempi, il fenomeno si è esteso ad altre regioni del Paese. E proprio dai luoghi in cui è nato e cresciuto, è partita la rivolta contro il racket.
Il "pizzo" è rivolto in genere a operatori economici o a chi detiene la proprietà di un'azienda (negozio, cantiere, fabbrica) che produce reddito. Prima di giungere alla richiesta esplicita, e per essere certo che la risposta della vittima sia positiva, l'estorsore applica una strategia di minaccia e intimidazione che ha il fine di spaventare l'operatore economico (senza tuttavia annientarlo: altrimenti rischierebbe di perdere una fonte di reddito).
Le minacce sono graduate, a seconda della minore o maggiore resistenza della vittima, e puntano a impaurirla facendole capire quanto sia "insicura" e in pericolo. In un secondo momento, è lo stesso estorsore a manifestarsi chiaramente per "offrire" protezione.
Piegarsi alla paura e pagare vuol dire imboccare una strada che può condurre alla perdita della propria libertà, non solo imprenditoriale: cedere la prima volta può predisporre a successivi cedimenti (ad esempio acquistare prodotti solo da certi fornitori segnalati o assumere qualcuno debitamente raccomandato) che possono, col tempo, sconfinare in veri e propri comportamenti illegali. Fino a trasformare l'iniziale vittima dell'estorsione in un soggetto più o meno coinvolto nel sodalizio criminale. Oggi, dunque, non cedere e ribellarsi non solo è giusto ma, oggi, è anche conveniente.
Chi si oppone al racket può contare, da una parte, sul sostegno delle istituzioni e delle leggi dello Stato e, dall'altra, sulla forza dell'associazione con altri operatori economici ugualmente intenzionati a ribellarsi. Grazie a questa collaborazione, negli ultimi tempi l'azione di contrasto del racket ha messo a segno importanti risultati.
Inoltre, con l'approvazione della legge 23 febbraio 1999 n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura), la pubblicazione del regolamento di attuazione, l'insediamento del nuovo Comitato e i primi risultati conseguiti nell'applicazione della nuova normativa, si sono create le condizioni per l'avvio di una nuova fase nella lotta al racket. Un ruolo decisivo spetta al Comitato di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura, al quale sono chiamati a partecipare in misura maggioritaria i rappresentanti delle associazioni antiracket e antiusura e delle associazioni di categoria.
Numerose e assai significative sono le innovazioni introdotte dalla Legge 44/1999. La nuova normativa ha snellito l'iter per la concessione del risarcimento e ne ha consentito l'accesso anche a persone che in precedenza ne erano escluse, a cominciare da quelle che siano state acquiescenti a richieste di estorsione, ma abbiano deciso di smettere (e mantengano il rifiuto anche dopo aver presentato la domanda).
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In questo caso, l'elargizione può essere concessa anche in relazione ai danni a beni mobili o immobili o alla persona verificatisi nei sei mesi precedenti la denuncia.
Le associazioni antiracket rappresentano un modello di organizzazione degli operatori economici che, dopo dieci anni di vita, appare ampiamente collaudato. Svolgono tre funzioni:
vincere la solitudine di chi è oggetto di estorsione. Quando è sola, la vittima ha sempre più paura. Se, invece, può condividere con altri i propri sospetti, timori, preoccupazioni, se si associa con altri operatori economici, si sente più sicura e diventa più forte. Sconfiggere la solitudine significa dare un colpo mortale al racket;
operare un raccordo fra le vittime del racket e le istituzioni. In un campo in cui l'attività di contrasto del fenomeno non può avere successo senza un ruolo attivo delle vittime, un soggetto capace di svolgere un'opera di mediazione è indispensabile. Inoltre, grazie al rapporto fra associazioni antiracket e istituzioni, si può ottenere il massimo risultato con il minimo livello di esposizione individuale;
garantire una valida prospettiva di sicurezza. Grazie alla natura collettiva della denuncia promossa dalle associazioni, il singolo è salvaguardato dai rischi di rappresaglie.
La legge 44/1999 prevede che le associazioni e organizzazioni di assistenza alle vittime del racket siano iscritte in un apposito elenco tenuto dalla Prefettura della provincia in cui operano.
La lotta al racket ha un metodo vincente. Da esportare in tutta Italia. E’ nato qualche anno fa all’ombra del Vesuvio e si chiama “modello Ercolano”. Così l’ha battezzato il Procuratore Aggiunto della DDA napoletana che con i Sostituti Procuratori competenti ha condotto e conduce le inchieste contro i clan vesuviani, di Torre Annunziata e Castellammare, con risultati assai importanti. E’ un metodo all’apparenza semplice, ma che ha bisogno del contributo di tutti per essere efficace. Parte dai commercianti: si mettono insieme in un’associazione che li seguirà in ogni passo, denunciano gli estorsori, forze dell’ordine e magistratura colpiscono gli esattori dei clan, le istituzioni sono al fianco delle vittime.
Semplice a dirsi, percorso assai complicato da realizzare. A Ercolano ci sono riusciti: nel 2005 è nata l’associazione antiracket, le denunce di 40 commercianti hanno già portato nell’aprile scorso a 18 condanne ad altrettanti esattori della camorra, giudicati con rito abbreviato, mentre altri 21 sono stati sottoposti a processo con rito ordinario. Modello vincente e da esportare anche nei comuni vicini per renderlo pienamente efficace. Lo ha detto senza mezzi termini Tano Grasso, presidente del Fai (Federazione associazioni antiracket italiane), uno che oltre vent’anni fa fondò la prima associazione contro il pizzo in Italia nella sua sicilianissima Capo d’Orlando e da allora non ha mai smesso di combattere uno degli affari più odiosi e lucrosi delle mafie. A Ercolano ha rivisto l’esperienza di Capo d’Orlando di vent’anni fa. Tante facce, non una sola contro il pizzo perché se sono tanti a denunciare nessuno diventa l’obiettivo da colpire. Ha sottolineato come la durata dei risultati raggiunti nella provincia napoletana dipende dagli altri risultati che si otterranno nei comuni vicini proprio come ha già funzionato a Capo d’Orlando. Alla fine del processo, anche nei paesi vicini altri commercianti uniti si ribellarono al pizzo e vinsero.
L’evento è stato accreditato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trani e dal Consiglio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Trani con l’attribuzione di n. 03 crediti formativi e si è svolto presso la sede LU.M. – S.P. Andria-Trani (uscita Trani Nord), con inizio alle ore 17:00.