Doping e frode sportiva

1 Doping e frode sportiva

Martina Franca (TA), 10 Novembre 2012 – L’Associazione Culturale “Gens Nova” con il patrocinio del Comune di Martina Franca (TA) e della Provincia di Taranto, ha presentato il convegno dal tema: “DOPING E FRODE SPORTIVA”.
Interventi di saluto: Avv. Mario Sportelli, Giudice di Pace Martina Franca.
Relatori: Avv. Pietro Paolo Mennea, Avvocato del Foro di Roma già Campione Olimpico (ex campione di atletica leggera che si è spento il 21 marzo 2013 all’età di 61 anni, stroncato da un male incurabile); Dott. Antonio Negro, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce; Dott. Pietro Errede, Giudice del Tribunale di Monopoli-Putignano e componente della Corte d’Assise di Bari; Avv. Donato Muschio Schiavone, Avvocato Penalista e Presidente Associazione Sportiva Martina Franca; Prof. Avv. Antonio Maria La Scala, Avvocato del Foro di Bari e Presidente Nazionale Associazione Culturale “Gens Nova”.
Ha moderato Mariella Sisto, Studentessa Universitaria.
L’argomento è senza dubbio di grande attualità, visto lo scandalo – che pare infinito – nel quale è rimasto recentemente coinvolto il calcio italiano e non solo, considerato che il fenomeno ha riguardato anche altri sport.
Il termine doping ha un’origine inglese a sua volta derivato dall’idioma dei cafri dell’Africa sudorientale, che con il termine dop, indicano un liquore stimolante usato nelle cerimonie religiose; secondo alcuni proviene dal fiammingo doop, che significa mistura, miscela, poltiglia.
Nel mondo dello sport il doping consiste in sintesi nell’assunzione illegale di farmaci o droghe allo scopo di migliorare le prestazioni atletiche in vista o in occasione di una competizione agonistica. Tale pratica esiste purtroppo fin dai tempi antichi: gli atleti greci utilizzavano una dieta a base di carni associata a sostanze stimolanti; al tempo dei romani venivano drogavano i cavalli, utilizzati nelle arene, così come i gladiatori, per aumentare la loro aggressività; i popoli orientali, sudamericani e vichinghi assumevano sostanze per contrastare la fatica. Nel corso del XX secolo lo sport ha gradualmente riscoperto antichi valori e un rinnovato agonismo: in paesi come Germania dell’est e Romania la scienza del doping e dei primati costruiti in laboratorio ha cominciato, a svilupparsi in maniera preoccupante. I primi controlli scientifici sono stati effettuati sui cavalli dal chimico Bukowsky a Vienna nel 1910, mentre i paesi occidentali, per fronteggiare le continue vittorie degli atleti dell’est Europa, investirono notevoli risorse economiche: per migliorare le prestazioni degli atleti venivano assegnati notevoli premi in denaro al fronte di vittorie o primati a livello internazionale.
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Alle Olimpiadi del 1952, per la prima volta, venne ipotizzato che alcuni atleti avessero fatto ricorso a sostanze stupefacenti; con la diffusione a larga scala degli anabolizzanti la pratica del doping conobbe un altro preoccupante aumento due anni dopo, nel 1954. Nel corso dell’Olimpiade del 1964, disputata a Tokio, furono introdotti i primi controlli antidoping e nel 1965 la Francia per prima legiferò in materia. In Italia, nel 1961, venne aperto il primo laboratorio di analisi a Firenze, mentre nel 1971 fu emanata una legge che puniva l’uso di sostanze illecite agli atleti, condannando anche chi le fornisce.
Con la legge n.522 del 1995, l’Italia ha poi ratificato la convenzione contro il doping siglata a Strasburgo nel 1989 dal Consiglio d’Europa; nel 2000, infine, è stata introdotta la rilevanza penale e l’istituzione di una commissione di controllo.
Senza entrare troppo nello specifico, le sostanze dopanti vengono classificate in: anabolizzanti, stimolanti, narcotici, betabloccanti e ormoni proteici, peptidici e simili.
Dagli anni novanta ad oggi il fenomeno del doping, la sua pratica e la sua demonizzazione, hanno conosciuto una rapida ascesa in campo sportivo e sociale. Condannata attraverso una serie di leggi che purtroppo stentano nel definire il limite tra lecito ed illecito, la pratica dell’assunzione di sostanze stupefacenti ha assunto connotati pericolosi, ha cominciato ad essere considerata come un qualcosa di estremamente negativo da un punto di vista morale, e nocivo da un punto di vista fisico; tuttavia ha continuato ad esistere, e la scoperta di nuovi casi di atleti positivi alle analisi di controllo è all’ordine del giorno.
È possibile rammentare come il fenomeno illegale generalmente denominato, appunto, «toto nero» o «scommesse clandestine» tragga origine da note vicende risalenti agli anni ‘70 ed ai primi anni ‘80 e che vedevano coinvolti anche calciatori di serie A.
Per molti atleti, infatti, era abitudine scommettere, direttamente o tramite loro amici o complici (su canali, appunto, clandestini rispetto ai tradizionali sistemi di scommessa sulle partite che, fino a pochi anni, si esprimevano quasi interamente nella giocata della classica schedina), sui risultati degli incontri ai quali, poi, avrebbero essi stessi partecipato. Evidente, pertanto, il conflitto di interessi, considerato che il calciatore avrebbe inevitabilmente modulato il proprio rendimento in funzione della realizzazione del risultato sul quale aveva scommesso.
Sulla scia di tali vicende la vigente disciplina sportiva fa espresso divieto ai calciatori ed ai tesserati in genere, di effettuare qualsivoglia scommessa al fine di trarre profitto, anche perché una tale condotta mal si concilia con lo spirito sportivo.
Vi era, quindi, la preoccupazione di garantire il corretto e regolare svolgimento delle competizioni sportive dalle infiltrazioni di ambienti malavitosi, così come anche il tentativo di impedire la perdita di fiducia e di credibilità, da parte degli appassionati e dell’opinione pubblica in genere, sulla genuinità dei risultati delle competizioni sportive. Mancava però allora una norma che qualificasse come illecito penale, la frode sportiva, la quale assumeva importanza solo sul piano dell’ordinamento sportivo, quale appunto mero illecito di sportivo. L’unico reato che astrattamente poteva essere utilizzato per l’incriminazione di frodi sportive era appunto il comune delitto di truffa, ma era comunque risultato difficile ravvisare questo delitto nei casi concreti per tutta una serie di problematiche.
Proprio per arginare il fenomeno delle frodi sportive, nel 1989 si ritenne necessario introdurre, con Legge 13 dicembre 1989, n. 401 recante “Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”, il delitto di frode in competizioni sportive e la c.d. “corruzione sportiva” nella duplice forma offerta/promessa e accettazione della stessa.
Si deve sottolineare che la Legge 401/89 ha comunque limitato il suo raggio d’azione alle competizioni organizzate dal CONI, dall’UNIRE o da altre associazioni o enti riconosciuti dallo Stato, essendo invece escluse dalla tutela quelle competizioni che abbiano natura episodica o carattere dilettantesco. Per lo Stato italiano, la tutela del corretto svolgimento della competizione viene in rilievo, quindi, solo per quelle attività sportive “controllate” da enti pubblici, i quali sono tenuti a controllare che la corretta formazione del risultato finale, che non può essere inficiata da fattori illeciti, anche per i conseguenti riflessi economici.
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Passando a esaminare il reato di “frode sportiva”, va anzitutto precisato che nel concetto di “frode sportiva”, vi rientrano tutti quegli atti e quei comportamenti “diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato della gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chicchessia un vantaggio in classifica”(definizione contenuta nell'art. 6 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC).
La Legge 401/89 ha previsto due fattispecie di reato penalmente rilevanti: la prima denominata “corruzione sportiva” che consiste nell’offerta o nella promessa di denaro o di altra utilità o vantaggio di qualsiasi genere, sia materiale che morale, a taluno dei partecipanti alla competizione sportiva per condizionare l’esito della stessa; la seconda definita “frode a forma libera”, prevede il compimento di atti fraudolenti volti al raggiungimento di un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione.
Da notare come alla base di questa previsione incriminatrice, vi sia stata la volontà di tutelare, come bene giuridico, i valori di lealtà, probità e correttezza, che sono i principi fondamentali di qualunque pratica sportiva.
Si deve precisare che per il reato di “corruzione sportiva” non è necessaria l’accettazione della promessa o del denaro, né, tantomeno, il raggiungimento dell’obiettivo, essendo sufficiente che vi sia stata da parte di “chiunque”, purché estraneo alla competizione sportiva, una seria promessa rivolta ad un partecipante ad una competizione sportiva.
A titolo esemplificativo si può pensare all’offerta fatta all’arbitro di costosi regali, di viaggi in località turistiche, affinché favorisca la propria squadra, ovvero alla promessa fatta ad un atleta di ingaggio in altra competizione o di sceglierlo come testimonial di spot pubblicitario affinché si adoperi per far vincere la squadra avversaria.
In altri termini, «E’ sufficiente che l’offerta o la promessa corruttiva vengano portate a conoscenza dei partecipanti. Non è invece richiesto né che l’offerta venga accettata o la promessa accolta, né tantomeno che il risultato della competizione sia in alcun modo alterato: ciò che rileva unicamente è che vi sia stato il pericolo di ledere il bene giuridico tutelato» che sappiamo essere la lealtà, probità e correttezza della competizione sportiva.
Il delitto di frode sportiva, cioè, «si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la promessa o l’offerta di un vantaggio indebito o la commissione di ogni altra condotta fraudolenta, e non in quello dell’accettazione di tale promessa od offerta» (Gip Trib. Roma 21/02/1992).
Poi abbiamo l’altra tipologia di reato ovvero quello della “frode a forma libera” prevista sempre dall’art. 1 comma 1 Legge 401/89, laddove si parla del compimento di “altri atti
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fraudolenti volti al medesimo scopo”, che devono essere identificati alla stregua degli atti espressamente individuati nell’offerta o promessa di denaro o di altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata da alcuna delle federazioni riconosciute dal Coni.
In questo caso è dunque necessaria la commissione concreta di atti, che devono essere fraudolenti ovvero ingannevoli ed essere finalizzati all’alterazione del risultato sportivo. Non è comunque richiesto l’effettivo conseguimento del risultato diverso da quello che vi sarebbe stato altrimenti. Tuttavia se il risultato della competizione e influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitati, sarà applicata una pena maggiore.
Così ad esempio, è stata considerata frode sportiva, la somministrazione ad atleti, da parte di terzi, di sostanze vietate destinate a menomarne oppure a migliorarne artificiosamente le prestazioni e, per l’effetto, il rendimento agonistico, se animata dal fine di alterare la genuinità del risultato di una delle competizioni sportive tutelate dalla norma (nello specifico è stato ritenuto integrato il reato di frode sportiva, la condotta di soggetti terzi che avevano reiteratamente somministrato a più calciatori di una società di calcio sia farmaci non vietati, ma al di fuori dal contesto organizzativo individuato dal ministero della salute ed in forme non consentite, sia farmaci vietati appartenenti alla categoria dei corticosteroidi).
Oppure ancora è stata ritenuta integrante il reato di frode sportiva la somministrazione di sostanza dopante ad un cavallo partecipante ad una competizione sportiva organizzata da UNIRE (Cass. Penale n. 16619 del 03/04/2007).
Si deve poi precisare che nell’ipotesi in cui la corruzione sportiva sia accettata dal destinatario, quest’ultimo ne dovrà rispondere penalmente. Infatti, al secondo comma dell’art. 1 L. 401/89 si è previsto che “le stesse pene [quelle previste dal primo comma] si applicano al partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra utilità o vantaggio, o ne accoglie la promessa”.
Tale norma pone, dunque, come condizione di punibilità, che il partecipante accetti denaro o altra utilità oppure anche più semplicemente ne accolga la promessa.
Sul punto si rileva come ne sia scaturito un dibattito, pervenuto poi ad una conclusione, pressoché unanimemente condivisa, secondo cui con l’espressione “partecipante” si debba ricomprendere tutte le persone che, a vario titolo, partecipano alla gara o prendono parte all’organizzazione della stessa.
Pertanto, rientrano nella categoria dei partecipanti, non solo gli atleti che partecipano alla competizione sportiva, ma anche gli arbitri e/o ufficiali di gara, ovvero coloro che più facilmente possono influire sull’andamento della gara o addirittura determinarne il risultato finale.
Così ad esempio, è stato condannato per reato di frode sportiva (art. 1, comma 1, Legge 401/89) l’atleta che abbia accettato la somministrazione di sostanze dopanti per esaltare le proprie doti atletiche al fine di alterare la genuinità del risultato di una competizione sportiva (Cass. Penale n. 21324 del 29/03/2007).
Resterebbero fuori gli allenatori e i dirigenti corrotti, ma la loro punibilità potrebbe essere sancita per effetto del reato di “frode a forma libera” prevista dall’art. 1 comma 1 Legge 401/89. Vi è, inoltre, chi opta per una interpretazione estensiva della veste di “partecipante” fino a ricomprendervi anche allenatori, massaggiatori, medici ed in generale tutti gli addetti a specifiche mansioni direttamente connesse con l’evento agonistico.
Nel caso del delitto di frode sportiva, per coloro che hanno offerto o promesso denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, è prevista la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da Euro 258 a Euro 1032. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa.
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Come già detto, le stesse pene si applicano al partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra utilità o vantaggio o ne accoglie la promessa.
Si è stabilito, inoltre, che “se il risultato della competizione è influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitati, i fatti di cui ai commi 1 e 2 sono puniti con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 2.582 euro a 25.822 euro”(art. 1, comma 3 della Legge 401/89).
Alla condanna per delitto di frode in competizione sportiva, conseguono, quali pene accessorie che vanno da un minimo di sei mesi ad una massimo di tre anni, il divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive anche nel solo ruolo di spettatore o si accettano scommesse autorizzate o l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle società sportive (art. 5 Legge 401/89).
Inoltre, secondo la legge del 14 dicembre 2000, n. 376, «costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti».
La medesima legge all’articolo 3 prevede l’istituzione presso il Ministero della Sanità della Commissione per la Vigilanza e il Controllo sul doping (CVD). La Commissione è composta oltre che dai tecnici, dai rappresentanti del Ministero della Sanità e dei Beni e delle Attività Culturali, rappresentanti delle Regioni, del CONI, degli atleti e degli enti di promozione sportiva. E’ compito della Commissione di Vigilanza Antidoping individuare le sostanze dopanti e per fare ciò affida a laboratori accreditati dalla Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) i controlli antidoping, la ricerca sui farmaci, sulle sostanze e metodi che costituiscono doping.
L’incontro è stato un’occasione per mettere a confronto l’esperienza di sportivi, magistrati ed addetti ai lavori con l’intento di discutere dei problemi che stanno attraversando il mondo dello sport dopo le ultime vicende giudiziarie. Da queste basi è nato il convegno sullo specifico argomento, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e far conoscere alla cittadinanza gli aspetti tecnico-giuridici legati al settore.
Tra doping, calcio scommesse e frode sportiva, lo sport non sta attraversando un periodo positivo. La riflessione principale emersa è quella che avendo il settore sportivo una interazione di logiche anche affaristiche, sicuramente quella che è la genuinità e la valenza simbolica originaria dello sport ne sta risentendo. Ormai quando si parla di sport si parla di sponsor, di contratti, anche in maniera molto diseducativa: ormai i giovani di oggi pensano allo sport come guadagno facile, come carriera, auto di lusso, donne, eccetera.
Il vero problema è stato il passaggio da uno sport inteso come impegno e passione ad uno sport inteso come economia che ha causato purtroppo danni irreversibili perché ormai lo sport è questo, basti pensare a tutto quello che sta intorno: ingaggi, calciomercato, diritti 117
televisivi. Ormai si parla di quanto vale un giocatore come quello che può far guadagnare alla società. Fino a quando lo sport diventa prerogativa appannaggio delle società sportive, è inevitabile l’implicazione economica.
Inoltre non è da sottovalutare come la crescita esponenziale connessa al proliferare dei centri scommesse ha di fatto peggiorato l’ambiente, perché la gente pensa al guadagno facile, alla scommessa, alla bisca clandestina e tutto questo facilita e agevola il delinquere in questo settore.
Dal Giudice Pietro Errede, uno tra i massimi esperti di doping e frodi sportive come anche Pietro Mennea, in virtù delle esperienze professionali e giuridiche accumulate nel corso degli anni, sono emersi i papabili rimedi per un miglioramento del mondo sportivo, che dovrebbe essere meno legato all’economia e più legato ad un concetto salutista di attività fisica.
Tra le soluzioni ipotizzate nel convegno “Doping e frode sportiva”, anche l’idea di tornare ad intendere l’attività fisica come benefica per la salute. Praticamente l’unica e più semplice per intendere seriamente lo sport come impegno e vera passione quotidiana: ricominciare a farsi grandi passeggiate a piedi al sole, prendere la bicicletta e recuperare il significato dell’attività fisica come attività salubre e non dannosa, perché anche il ricorso alle sostanze dopanti ha delle implicazioni dannose alla salute degli individui.
Errede e Mennea hanno anche presentato i propri studi sull’argomento: “Frode sportiva e doping” (Edizioni Cacucci), mentre Mennea, ha esposto le idee presenti nei volumi “La grande storia del doping”, “Il doping nell’Unione Europea” (Delta 3 edizioni) e “Normativa e tutela dello sport” (Edizioni Giappichelli).
Mennea ha ricordato con orgoglio come lui riusciva a battere anche atleti di cui fu poi scoperta la positività ai controlli antidoping, segno che si può vincere anche senza ricorrere a pratiche illecite, aggiungendo come lo sport deve contribuire al miglioramento della salute ed essere scuola di vita. L'ex olimpionico in occasione dell’evento ha donato 200 libri all’associazione Gens Nova.
Il grande atleta si è spento il 21 marzo 2013 a Roma all’età di 61 anni.
L’evento con ingresso libero si è svolto presso la Sala Consiliare Palazzo Ducale del Comune di Martina Franca – Piazza Roma, con inizio alle ore 17:00.